1899, il significato della serie tv Netflix
Qual è il significato di 1899? Lo capiamo davvero alla fine dell’ottavo episodio dal titolo “La Chiave” che è anche l’ultimo della prima stagione della nuova serie tv dai creatori di Dark, Baran bo Odar e Jantje Friese, disponibile dal 17 novembre su Netflix.
Partiamo dalla storia della serie tv. Nel 1899, un piroscafo pieno di migranti chiamato “Kerberos” (Cerbero) si dirige da Londra verso ovest lasciandosi alle spalle il Vecchio Continente. I passeggeri, provenienti da diverse nazioni europee, hanno in comune speranze e sogni per il nuovo secolo e per il loro futuro all’estero una volta sbarcati a New York. La traversata però subisce una svolta imprevista con l’avvistamento in alto mare di un’altra nave di migranti alla deriva chiamata “Prometheus” (Prometeo) che, mesi prima, era stata data per dispersa. Ciò che troveranno a bordo trasformerà il loro viaggio verso la terra promessa in un terrificante incubo.
La protagonista è la dottoressa Maura Franklin (Emily Beecham), una dottoressa che è alla ricerca del fratello Ciaran, il quale è scomparso a bordo di una nave chiamata Prometheus qualche mese prima. Il capitano Eyk Larsen (Andreas Pietschmann) prende a cuore le sorti del piccolo Elliot (Fflyn Edwards), l’unico passeggero della Prometheus, e decide di invertire la rotta per riportare l’imbarcazione in Europa – questo crea comprensibilmente un malcontento generalizzato tra i passeggeri della Kerberos.
Che cosa vuol dire 1899, il titolo
La serie si intitola 1899 poiché la storia prende il via nel 1899 – o così siamo indotti a pensare. Nel finale della prima stagione, infatti, si scopre che quella del 1899 è soltanto una simulazione: Maura infatti si risveglia il 29 ottobre 2099 a bordo di un’astronave chiamata “Project Prometheus”. Quindi, a livello superficiale, la serie tv prende il nome dall’ambientazione della premessa. Tuttavia, come siamo stati ben abituati dai creatori di Dark, bisogna andare in profondità per capire davvero.
Prometeo
L’imbarcazione perduta si chiama Prometheus. Nella mitologia greca, il titano Prometeo (“colui che riflette prima”, in antesi al fratello Epimeteo, ”colui che riflette dopo”) ruba il fuoco agli Dei per renderlo disponibile al genere umano; questo oltraggio, punito severamente da Zeus, costituisce l’origine della condizione esistenziale umana.
Volendo punire quel gesto eversivo, Zeus fece in modo di incatenare Prometeo nudo ad una montagna e comandò ad Aithon, una gigantesca aquila del Caucaso, di dilaniare il suo petto (che ogni notte si rigenerava) ogni singolo giorno per il resto dell’esistenza di Prometeo. Nella tragedia perduta di Eschilo, si narra che Eracle liberò poi Prometeo dalle sue catene, uccidendo la malefica aquila. Nella storia della serie tv, Maura Franklin potrebbe essere pertanto Prometeo, essendo colei che dispone della chiave della simulazione ed essendo condannata a rivivere la simulazione. C’è la possibilità che invece Prometeo sia Ciaran, il fratello di Maura, e che il “fuoco” sia rappresentato dalla tecnologia.
Cerbero
L’imbarcazione che scopriamo essere una simulazione è chiamata “Kerberos”, ovvero cerbero, il celebre cane a tre teste che, nella mitologia greca, fungeva da guardia alle porte degli Inferi insieme ad altre bestie come la Chimera e l’Idra. Nella serie televisiva la simulazione, per certi versi, impedisce alle persone di lasciare il mondo: non a caso il piccolo Elliot è salvato dalla morte grazie alla simulazione in cui è intrappolato. Di conseguenza, la simulazione impedisce ai passeggeri della “Prometheus” di lasciare quel piano di realtà.
Il mito della Caverna di Platone
“Svegliarsi” è un tema ricorrente nella serie televisiva, e le scene – una in apertura della serie, una in chiusura – vedono Maura esortata a tornare alla realtà. Tutto questo, così come il ricorso alle siringhe per uscire dalla simulazione (od entrare nel santuario, come fa Daniel con Maura) si rifanno alla filosofia greca. Così come è avvenuto per Dark, anche per 1899 Jantje Friese e Baran bo Odar fanno ricorso a Platone.
Secondo l’allegoria della caverna di Platone, alcuni prigionieri sono immaginati incatenati, sin dalla loro venuta al mondo, in fondo ad una caverna. Possono soltanto conoscere il mondo attraverso le immagini che vengono proiettate sulla parete di fronte a loro. Dietro ai prigionieri è stato eretto un muro, pertanto non possono voltarsi per vedere cosa c’è alle loro spalle. Dietro al muro, una serie di uomini muovono delle sagome di carta che, grazie alla fiamma di un braciere, finiscono per stagliarsi sulla parete della caverna; se questi uomini incaricati di muovere le sagome profferissero parola, i prigionieri si renderebbero conto di vivere dentro ad un’illusione.
Ebbene, se un prigioniero venisse liberato, scoprirebbe i diversi strati di illusione che lo separavano dallo sperimentare la vita reale; dapprima le sagome di carta – che risultano posticce rispetto alle figure realtà – dopodiché il braciere che le illuminava creando le ombre, e infine la luce del sole, che illumina di verità il mondo circostante in maniera più efficace rispetto al braciere.
Allo stesso modo, la simulazione di 1899 – dalla “Kerberos” per poi progredire, fino al “Risveglio” – rappresenta un percorso dalle illusioni fino alla realtà. Realtà che, stando al finale, sarebbe quella dell’astronave… sempre che anche quella, a sua volta, non si riveli una simulazione.
Lo scarabeo verde
In molti si saranno chiesti cosa c’entri lo scarabeo verde in 1899, il quale viene adoperato per portare alcuni passeggeri in aree ben specifiche della “Kerberos”. Nella mitologia egizia, gli scarabei erano simboli di resurrezione; monili e amuleti raffiguranti questo insetto venivano infatti posti sulle mummie a simboleggiare la rinascita, la seconda vita dopo la morte. Nella mitologia della serie, lo scarabeo va visto come una sorta di meccanismo che libera i passeggeri/prigionieri dalle catene che li vincolano alla simulazione per iniziare a mettere in dubbio la realtà che abitano, e domandarsi se non ci sia altro dietro.
Il triangolo di Aristotele
Continuiamo con la filosofia greca. Il simbolo ricorrente per antonomasia, in 1899, è il triangolo. Aristotele usa proprio questa forma per spiegare come funziona l’arte della retorica, ovvero del persuadere. Il triangolo aristotelico, affinché la persuasione scatti, prevedeva tre pilastri: l’appello all’etica, quindi facendo leva su autorità o credibilità di chi compie l’atto; l’appello all’emozione, ovvero il puntare sulla reazione “di pancia” con una storia struggente; e infine l’appello alla logica – il ricorso a numeri, fatti e dati inconfutabili.
La simulazione porta in sé il presupposto della persuasione: i passeggeri della “Kerberos” sono persuasi a credere di trovarsi in un piano di realtà e non di essere intrappolati in qualcosa di molto più grande di loro.
La piramide
Continuiamo col simbolismo, sulla scia di quanto appreso circa il triangolo e il suo significato. Col progredire degli episodi si apprende che la piramide rappresenta una sorta di lucchetto che custodisce l’accesso alle coscienze collettive di tutti i passeggeri. La chiave, come si apprende nel finale di stagione, è nelle mani (letteralmente) di Maura. Il simbolo della piramide rimanda all’ascensione ai cieli, ovvero ad un regno ultraterreno (nel caso della serie, spaziale): le facce delle piramidi a base triangolare, infatti, sono quattro – tre rivolte verso l’altro e una verso il basso.
Ancora una volta, si torna al tema fondamentale della serie: l’essere umano deve aspirare alla verità – il fuoco rubato da Prometeo a Zeus, la luce del Sole nel mito della caverna – liberandosi dalle catene terrene, rappresentate dalla persuasione. Soltanto così si potrà ascendere ad un grado di consapevolezza e di conoscenza superiore, che non appartiene al mondo degli esseri umani.
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