Recensione di “Anna”, la nuova serie Sky
Anna (l’esordiente Giulia Dragotto) ha quattordici anni e vive ogni giorno come se fosse l’ultimo. Il suo non è uno slancio di nichilismo adolescenziale, ma la dura realtà del mondo in cui vive. Quattro anni prima una misteriosa malattia proveniente dal Belgio soprannominata “La Rossa” ha sterminato la popolazione adulta del pianeta.
Il virus, presente in tutti gli esseri umani, si attiva con il sopraggiungere della pubertà. Anna ha fatto una promessa alla madre Maria Grazia (Elena Lietti, alla seconda collaborazione con Niccolò Ammaniti dopo “Il Miracolo”): si sarebbe occupata del fratellino Astor (Andrea Pecorella) e lo avrebbe protetto dalle crudeltà del nuovo mondo.
Costretta a crescere in fretta, Anna ha potuto contare sul Libro delle cose importanti, un quaderno sul quale Maria Grazia, nei suoi ultimi giorni di vita, ha scritto le lezioni di vita che avrebbero potuto garantire ai suoi figli la salvezza.
Mentre Anna si avventura nel mondo esterno, ad Astor è espressamente vietato di superare i confini del Podere del Gelso, la loro dimora protetta da un fitto bosco. Come tutti i bambini, tuttavia, Astor non è incline a rispettare le regole e finirà per essere individuato e catturato dai Blu, una tribù di bambini cui fa capo la spietata Angelica (Clara Tramontano).
Inizia così per Anna un viaggio nel quale dovrà sacrificare parti di sé, metaforiche e non, per sopravvivere. Potrà contare sull’aiuto di Pietro (Giovanni Mavilla), un coetaneo di poche parole che si rivela provvidenziale in alcuni momenti del suo percorso.
Per la sua seconda serie tv, Niccolò Ammaniti, che scrive con Francesca Manieri e dirige tutti gli episodi, ha voluto portare sullo schermo il romanzo che gli era rimasto impresso anche dopo la sua pubblicazione, avvenuta ne 2015. Un progetto, quello della trasposizione televisiva di “Anna”, che nasce prima de “Il Miracolo”, la sua opera prima che ha dato inizio al sodalizio con Sky.
Non manca chi fa notare che i parallelismi tra la pandemia raccontata nella serie e quella che stiamo vivendo rappresentano una coincidenza inquietante. Le riprese, come sottolineano l’emittente Sky e la produzione Wildside, erano già iniziate da sei mesi quando l’emergenza sanitaria Covid-19 iniziò a stravolgere le nostre vite.
Andare oltre alle somiglianze con la contemporaneità non è difficile, perché Anna è un racconto di speranza: la vita è destinata a prevalere, anche quando soccombe.
L’eroina titolare, interpreta dalla sorprendente Giulia Dragotto, non si perde d’animo e rappresenta il bagliore in un mondo dove le tenebre sembrano aver preso il sopravvento. Non sono i mostri di cui Anna decanta le fattezze al fratellino, i nemici che incontra sul suo cammino.
In questa Sicilia desolata e feroce, sapientemente catturata dalla fotografia di Gian Enrico Bianchi, i bambini scorrazzano per le strade, governati soltanto dal loro istinto e dalle loro pulsioni. Freud li chiamava “perversi polimorfi”, alla costante ricerca del piacere e agevolati dall’assenza di un Super Io e delle implicazioni morali dovute all’educazione.
I “piccoli” di Anna sono crudeli: si picchiano, rubano, si tradiscono, uccidono per noia, per divertimento, o semplicemente perché possono. Ciò che emerge è che non sono poi così diversi dai “grandi”, adesso che gli adulti non ci sono più a sanzionarne i comportamenti.
Il simbolismo tipico di Ammaniti non manca, dallo spettacolo dei Pupi messo in scena da Ndraveke, piccolo Cappellaio Matto che Astor incontrerà sulla sua strada, alla raffigurazione della mamma di Anna come un’astronauta pronta a lasciare la Terra per dedicarsi all’impresa più ardua: l’esplorazione dell’ignoto, che non è lo spazio ma l’aldilà.
Colpisce anche la musica della serie, a partire da “Settembre” di Cristina Donà, scelta come sigla di apertura, passando per “Big in Japan” degli Alphaville fino ad arrivare a “Core ‘ngrato”, il canto degli italiani emigrati negli Stati Uniti che qui diventa un inno alla perseveranza.
Rivelandosi l’equivalente di San Gennaro per la serialità, Sky ha ripetuto il miracolo. A tre anni dalla sua prima serie di Niccolò Ammaniti, la pay-tv è riuscita a realizzare un altro futuro classico della televisione nostrana.
Il primo arrivò tredici anni fa. L’esordio di Romanzo Criminale – La Serie segnò l’inizio di un’era in cui il feuilleton non era più l’unico genere popolare in grado di incontrare il gusto del telespettatore italiano.
Con Gomorra, la serie che ha reso Sky un polo imprescindibile della produzione italiana capace di aprirsi ad un pubblico ampio e di superare i confini nazionali, in procinto di concludersi con la quinta e ultima stagione, è incoraggiante notare che Sky ha sempre più voglia di osare e di sperimentare con generi e racconti, senza perdere la propria immaginazione distintiva.
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