Il ricordo di Camille e il dolore di Hank Voight nell’ultima parte del crossover
Il primo crossover targato Chicago Trilogy è giunto al termine. La decima puntata di Chicago PD porta con sé la conclusione di quello che è stato un crossover incredibile, ricco di emozioni, paura, adrenalina, tensione… lacrime che hanno bagnato il nostro viso quasi in ogni istante.
La puntata ha inizio con un cazzotto che colpisce diritto allo stomaco, un cazzotto che arriva nel momento esatto in cui Antonio pronuncia quel nome, un nome che riporta a galla vecchi ricordi, un dolore grande, insopportabile, che non è mai svanito, che non potrà mai farlo: Dott. Dean Reybold. Hank si ferma, sembra quasi non riuscire a respirare, il nostro viso viene bagnato da una lacrima e un altro nome arriva diritto al cuore: Camille, la donna che Hank ha amato più della sua vita, la donna che ha cresciuto Erin come fosse sua, la donna che Reybold ha avvelenato insieme ad atre donne che si sono fidate di quell’uomo che ha creduto di essere Dio.
L’accusa è ormai chiara: omicidio, Reybold ha avvelenato quelle donne che sono arrivate al Chicago Med insieme ad altre donne con sovradosaggi di chemio, donne che si sono fiate di lui e che non avevano bisogno di quelle cure, donne che non avevano il cancro. Hank non riesce a ragionare, la rabbia prende il sopravvento, il desiderio di avere giustizia, per Camille, per quelle donne che volevano solo vivere, proprio come la madre di suo figlio, proprio come la donna che ha amato Erin da quando è entrata in casa sua. E la nostra rabbia cresce insieme a quella di Hank mentre le lacrime ci bagnano il viso e continuiamo a ripetere quel nome: Camille…
E mentre le indagini proseguono, Kim cerca di salvare Roman da una situazione difficile. Avevamo lasciamo Roman accanto al corpo del padre del piccolo Andrew (il padre dell’anno!), un colpo, un cadavere e nessuna pistola che Roman dichiara di aver visto. Ma quella pistola c’è, lui l’ha vista e Kim non ha bisogno di sapere altro. Burgess inizia le sue indagini con l’appoggio di Platt, una donna e un tenente come ce ne sono pochi. Kim arriva al fratello dell’uomo che Roman ha ucciso, ha preso lui la pistola, quella pistola che potrebbe salvare Roman se solo saltasse fuori. Ma da sola la nostra Kim non riesce a venirne a capo, non riesce a risolvere il caso, ad aiutare il suo partner. Così torna da Platt che porta la sua esperienza sul campo e, ancora una volta, dimostra a tutti che, da lei, c’è solo da imparare. La pistola salta fuori, non vedremo la conclusione del caso, ma Roman verrà scagionato (vero?) e tutto andrà per il verso giusto. Ancora una volta, inchiniamoci alla grandezza del sergente Platt. Che donna!
L’indagine di Hank e dell’Intelligence va avanti, la rabbia diventa sempre più forte ed è pronta ad esplodere quando il dott. Reybold arriva ad un patteggiamento: nessuna prigione per lui, per quel medico che dovrebbe essere radiato dall’albo per il resto della sua vita, quella vita che dovrebbe trascorrere dietro le sbarre. Ma Hank non ci sta, non può finire così, non deve. I minuti scorrono velocemente, le lacrime scendono quando Hank ed Erin ricordano Camille, la sua forza, la sua dolcezza, la grandezza di una donna che non ha mai smesso di lottare, nemmeno per un secondo. Avessi avuto tra le mani quel medico da quattro soldi, altro che prigione… L’avrei chiuso nella gabbia con Hank e gettato le chiavi, poi vediamo se ti senti ancora un Dio.
Tutto sembra andare storto, le donne la cui vita è stata rovinata da colui che non può essere definito un uomo non possono testimoniare. Non ci sono prove, Reybold se la caverà. No, no e ancora no. Deve pur esserci una giustizia, deve pur esserci qualcosa che Hank può fare per avere quella giustizia che deve arrivare, per Camille e per tutte le donne come lei. Ma qualcosa da fare c’è, qualcuno che può parlare c’è, quel qualcuno che ha portato i suoi ricordi e il suo dolore in una scatola, una scatola che non appena è stata aperta, ha ricoperto il nostro viso di lacrime, quelle lacrime che non siamo stati in grado di fermare nemmeno per un secondo. Hank Voight arriva alla sbarra, la sua squadra è li con lui, Erin è li, per lui, per Camille, per la sua famiglia, per quell’uomo che è stato come padre, per quell’uomo che è suo padre nonostante il DNA non lo confermerà mai.
Le domande arrivano e, ancora una volta, mentre nulla sembra andare per il verso giusto, la sola cosa che vorremmo fare è prendere a calci quell’essere maledetto e stringere forte Hank e dirgli quelle parole che Erin ha detto per noi “Camille sarebbe fiera di te”. Ma non è finita, non ancora. L’avvocato del dott. Reybold (ma quale avvocato quella donna andrebbe messa nella gabbia insieme a Reybold davanti a Voight), vuole incastrare Voight e usa il ricordo di Camille per farlo. La nostra rabbia sale, il dolore si trasforma e diventa qualcosa che non riusciamo a capire… Poi, una lampadina si accende: istinti omicidi nel confronti di Reybold e di quella donna che lo difende. Ma come si può difenere un uomo che ha ucciso, che ha usato delle povere donne per soldi, per sentirsi Dio, per sentirsi onnipotente, ma la giustizia prima o poi trionfa, anche se non è esattamente quella la giustizia che avevo in mente.
E proprio nel momento in cui tutto sembra perduto, l’avvocato che sostiene la causa di Hank decide di interrogarlo ancora, la verità viene fuori, tutta quella verità che quell’uomo aveva cercato di nascondere, distruggere, seppellire. Copevole! Eccolo il verdetto, ecco la sola parola che avevamo bisogno di sentire… Colpevole! Ma c’è ancora qualcosa da sentire, da vedere…
Un video, la voce di Camille, Natale 1988. Hank, Camille e il loro bambino… Un sorriso, una lacrima, un altro sorriso e milioni di lacrime che ci bagnano il viso. L’episodio si concluse e, senza capire come sia possibile (o forse lo sappiamo fin troppo bene) le lacrime continuano a bagnarci il viso. Abbiamo visto Hank forse per la prima volta, abbiamo visto e sentito il suo dolore legato al ricordo di sua moglie, di quella donna che non potrà mai dimenticare, di quella donna che accompagna Hank ogni giorno della sua vita, che lo accompagnerà per sempre.
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