Dune – Parte Due, la recensione del maestoso film di Denis Villeneuve
A tre anni di distanza dal primo capitolo, arriva al cinema Dune – Parte Due, il film attesissimo diretto ancora una volta da Denis Villenueve. Il destino del regista canadese è sempre stato legato al deserto di Frank Herbert. Il 28 febbraio arriva al cinema la seconda parte di un’epopea. Un viaggio quello di Paul Atreides che riparte esattamente da come era terminato il primo film.
Fin dalle prime immagini si rimane rapiti dall’opera di Villenueve che, ancora prima di uscire in sala, è stata paragonata a L’Impero colpisce ancora. Paul (Timothée Chalamet) e sua madre Jessica (Rebecca Ferguson) si uniscono ai Fremen, popolo che vive nel pianeta sabbioso e ricco di spezia, Arrakis. Mentre il futuro messia (Muad’Dib) piange la morte di suo padre e della sua casata, lega con Chani (Zendaya), ha incubi di una guerra santa futura intrisa di sangue. Nel mentre, dopo il colpo di stato mortale degli Harkonnen, pilotato dall’Imperatore, il barone sente la presenza di un nuovo leader incombere. Radunerà le sue forze e tutta la crudeltà per attaccare Arrakis, contro i ribelli Fremen. Tra le fila della famiglia originaria del pianeta Giedi Primo, suo nipote psicotico Feyd-Rautha (Austin Butler), si fa largo tra i ranghi tra atrocità e follia, scavalcando il fratello Rabban (Dave Bautista).
Dune – Parte Due è un film che prende il suo tempo. Dopo il primo capitolo introduttivo, ora la storia entra nel vivo, dentro quelle sabbie desertiche in cui bisogna pazientare. Non bisogna avere fretta, i vermi non vanno risvegliati. È molto difficile non cadere nel banale, parlando di quest’opera con semplici aggettivi. Villenueve realizza un’opera così immersiva in cui ogni luogo, ogni scena è pura architettura. Un lungometraggio che è molto più viscerale della prima parte, grazie ai tanti primi piani sui protagonisti che ci permettono di entrare nelle loro emozioni. Un crescendo che va di pari passo con il viaggio dell’eroe di Paul nel diventare il Muad’Dib. Un Messia e una figura che coinvolge fede, religione e credenze portando non pochi contrasti tra i Fremen.
La nuova Hollywood
Timothée Chalamet si discosta – finalmente – dal personaggio fanciullesco e fa un salto attoriale senza precedenti. Paul cambia, prende consapevolezza di quello che sta diventando, sbraita, urla e zittisce una Reverenda Madre (cosa oltraggiosa). Un personaggio dominato dagli istinti e dalla rabbia che vuole proteggere a tutti i costi la sua famiglia. Insieme a lui, la chimica con Zendaya è rara e unica. L’attrice di Spiderman: No Way Home ci regala un’altra performance memorabile. Potente, empatica e da lacrime in una scena finale da pelle d’oca. La nuova Hollywood c’è tutta in questo Dune – Parte Due, con l’impreziosimento di un altro tassello vincente: Austin Butler. Il suo Feyd-Rautha era uno dei personaggi più attesi e chiacchierati dopo un fantacasting che ha visto coinvolto anche Harry Styles. Butler è brutale, sadico e riesce a creare un’aurea di terrore intorno al suo personaggio unita al fascino.
Ultima – ma non per importanza – Florence Pugh nei panni della figlia dell’Imperatore. Pura porcellana, Pugh è nel vivo della sua carriera in crescita, dopo Oppenheimer e il suo ingresso nell’MCU, che – grazie a ruoli come Irulan Corrino – non sarà sicuramente incasellata in Yelena Belova.
Un’opera immersiva nella sabbia
L’architettura di Villenueve è una delle cose più belle del film. La costruzione delle tecnologie, delle navi spaziali, delle armature e tutti gli impianti utilizzati dai vari popoli sono da studiare nei manuali di scienza. L’evoluzione e il miglioramento rispetto al primo capitolo sono evidenti e magistrali. I mondi di Herbert hanno preso ancora più vita concreta in questa trasposizione che tende sempre di più ad essere la saga fantascientifica che stravolgerà il cinema dopo Star Wars. Dopo tutto, lo stesso Guerre Stellari non sarebbe mai esistito senza i romanzi di Dune.
Perché stupisce così tanto questo Dune – Parte Due? A volte bastano pochi secondi per essere estasiati. L’utilizzo di alcuni espedienti per comprendere certe soggettive e per dare voce ad alcuni personaggi é unico nel suo genere. Qualcosa in cui Lynch aveva fallito nel dare troppo spazio ai pensieri con la voce fuori campo. Le scene d’azione sono così ipnotiche e solenni che é davvero difficile ridurre la descrizione di quest’opera in parole.
Villeneuve e il co-writer Jon Spaihts danno un approccio di pancia quando affrontano il potere delle donne senza finire in girl power becero. Le madri ci guidano, gli amori ci ispirano. I movimenti delle Bene Gesserit sono sviluppati, aiutati dalle manifestazioni furtive di Léa Seydoux. Un cameo da sogno stellato e strategico. Senza menzionare l’altro cameo che è stato spoilerato alla première mondiale del film a Londra.
Forse, uno dei difetti che spesso ricorrono nei film del regista canadese, è l’ultimo atto. Ad un certo punto si ha la sensazione che la storia inizi ad accelerare. In ogni caso farsi rapire dalle immagini e dai suoni é una questione di pochi secondi.
Le musiche di Hans Zimmer
Il mix sonoro è un personaggio a sé. La colonna sonora estatica di Hans Zimmer corrisponde a sabbia, architettura e macchinari per la meraviglia. Questo è un film massimalista reso artistico e coinvolgente, selvaggio, ponderato e strutturato. Le musiche di Hans Zimmer vanno a completare il perfetto connubio di un’opera filmica che è già iscritta nei libri di storia.
Dune – Parte Due va visto nello schermo più grande che possiate trovare, solo così potrete godervi appieno questa esperienza visiva. Villeneuve è l’uomo che vede un modo per superare quella delirante tempesta del deserto.
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