Tutti gli uomini di El Presidente: la serie disponibile su Amazon Prime Video da venerdì 5 giugno non porta in scena il Watergate, al centro del film del 1972 con Dustin Hoffman e Robert Redford, bensì uno scandalo più recente denominato FIFA Gate.
Nel 2015 fu l’FBI a portare alla luce un giro di affari da 150 milioni di dollari di mazzette che sarebbero state utilizzate per corrompere gli alti ufficiali della Federazione internazionale di calcio.
L’uomo chiave di questo complotto fu Sergio Jadue, impresario calcistico cileno che si ritrovò dirigente dell’associazione nazionale calcistica, diventando il protetto di Julio Grondona, presidente della Football Association argentina scomparso nel 2014.
È il racconto dell’ascesa e dalla caduta di Jadue la serie El Presidente, realizzata da Fabula, la casa di produzione di Juan de Dios e Pablo Larraín assieme a Gaumont (Narcos) per la regia di Armando Bó, vincitore Premio Oscar per la sceneggiatura di Birdman.
In visto del debutto degli otto episodi, lo scorso aprile noi di Tvserial.it abbiamo raggiunto telefonicamente l’attore colombiano Andrés Parra, interprete di Sergio Jadue, per sapere com’è stato calarsi nei panni del personaggio titolare.
TVSERIAL: Eri al corrente della vicenda del FIFA-Gate prima di El Presidente? Come hai costruito il personaggio di Sergio Jadue?
PARRA: Non conoscevo il personaggio di Sergio Jadue, né di cosa trattasse questa storia. Non sono un tifoso del calcio, quindi è stata una grande rivelazione per me. Ho trovato due romanzi molto interessanti su questo argomento, essendo stato uno scandalo a livello mondiale c’era molto materiale su Internet e sulla cronaca riportata dai giornali in Cile.
TVSERIAL: Andrés, il personaggio di Sergio Jadue ne El Presidente dice che per conquistare il successo si è abituato “A nuotare contro la corrente come i salmoni”. Che cosa lo spinge a farlo?
PARRA: Io penso che c’è questa costante desiderio di superamento a tutti i livelli. Sergio vuole ottenere un miglioramento economico, culturale, fisico, sociale vuole progredire, c’è in lui il desiderio costante di andare avanti, di far carriera per arrivare a delle sfere, sul livello socio-economico, di potere, superiori a quelle che ha già. Sergio non ha limiti, ha creduto di essere capace di essere il Presidente della FIFA, addirittura. Se questo desiderio di ascendere, non accetta la sua realtà costante, poi chiaramente c’è anche la moglie che costantemente lo spinge, a fargli credere che loro meritino una vita migliore.
TVSERIAL: Hai avuto modo di entrare in contatto con lo stesso Jadue o sai se sia al corrente della serie che è stata realizzata ispirandosi alla sua vicenda, e se sì, che cosa ne pensa?
PARRA: Non ho parlato con nessuno che fosse vicino a Jadue o l’abbia conosciuto, nemmeno lui stesso: non sono solito farlo. Immagino che sappia che esiste questa serie e presumo che la vedrà. Quanto a cosa ne possa pensare, non saprei. La nostra, in fondo, è una serie ispirata ai fatti conosciuti al mondo intero. Il mio lavoro è stato essenzialmente di cercare di avvicinarmi il più possibile, attraverso video, interviste, lavorando sulla voce, a qualcosa che gli somigliasse e che fosse degno.
TVSERIAL: La tragedia del personaggio di Jadue inizia proprio quando Sergio si dimentica da dove viene. È questo, secondo te, il motivo della sua caduta?
PARRA: Ho sempre immaginato Jadue come un uomo contraddistinto da un’infanzia difficile, senza grandi qualità e un po’ sfortunato. Quando avrà improvvisamente questo colpo di fortuna, Sergio perderà il controllo e si rivelerà incapace di guardare al di là del grammo di potere che ha racimolato e che usa per cancellare le tracce della sua vita precedente. Credo che tutto questo auto-sabotaggio abbia origine dalla paura di Sergio che il mondo scopra chi è davvero: questo succederà inevitabilmente. Non so se Jadue sia stato una vittima o meno, ma alla fine gli ricadrà tutto addosso.
TVSERIAL: Andrés, non è la prima volta che porti in scena personaggi sudamericani realmente esistiti: sei stato Pablo Escobar nella mini-serie Pablo Escobar, el patrón del mal, poi Hugo Chávez ne El Comandante e oggi Sergio Jadue de El Presidente. Quale tra questi ruoli ha rappresentato una sfida maggiore per te e perché?
PARRA: La sfida tra questi tre personaggi è costituita dalla responsabilità di cui un attore si fa carico quando porta in scena un personaggio storico. Il pubblico ha la possibilità di fare confronti, si chiede se ci sia un’effettiva somiglianza o meno.
Quando questi ruoli mi sono stati proposti, una condizione che io pongo è che il personaggio non sia semplicemente ispirato ad una figura realmente esistita, ma che contempli anche il confronto con la realtà. Se questo manca, preferisco non interpretarlo: il pubblico lo capisce che l’imitazione non è sufficiente. Io scommetto sulla sfida di somigliare il più possibile al personaggio storico.
Anche se la serie non è propriamente una serie biografica, con Armando Bó [creatore di El Presidente, ndr] ci siamo assunti il rischio di scommettere sulla creazione di un personaggio che non fosse semplicemente ispirato a Jadue, ma che portasse il pubblico a interrogarsi sulla verosimiglianza. Come in quello di Chavez, anche nel caso specifico di Jadue la sfida era l’accento: parlare in cileno, trovare l’intonazione del personaggio, la sua armonia.
TVSERIAL: Dall’invidia sociale all’arrivismo, all’interno del personaggio di Jadue e della sua vicenda ci sono note universale alla natura umana. Qual è il tuo giudizio da attore nei confronti del tuo personaggio: indulgente o severo?
PARRA: Io parto sempre dal presupposto che i personaggi non siano né buoni né cattivi: ad attrarmi è la complessità umana dei personaggi che interpreto.
Quando sono nel processo creativo dei personaggi realmente esistiti, io mi converto in un loro profondo difensore, perché il fatto di essere attore mi permette di entrare nei loro panno. Quando li stavo interpretando, ero in grado di giustificare Escobar, così come di difendere Chavez. Anche nel caso di El Presidente ci sono riuscito. Quanto a Jadue, lo considero un personaggio tragicomico perché ha questo desiderio aspirazionale, questo arrivismo di andare sempre più in alto, di migliorare il proprio status sociale, economico, il proprio aspetto fisico, vessato da una moglie che lo mette costantemente sotto pressione.
Sergio riuscirà finalmente ad ottenere il titolo di presidente dell’associazione nazionale calcistica cilena, e sarà allora che scopre un sistema che opera già attraverso delle regole ben precise.
Sergio è un po’ come il politico giovane che si affaccia al mondo della politica e vuole rivoluzionarlo: a un certo punto si renderà conto che è un ambiente troppo corrotto per poter lavorare secondo i propri principi, e allora dovrà decidere se accettare la bustarella o meno.
Sergio Jadue si butterà a capofitto in quel mondo: è facile giudicare, ma io stesso mi domando cosa farei se fossi al suo posto.
TVSERIAL: Proprio come viene detto a Sergio nel primo episodio, “O mangiano tutti, o non mangia nessuno”. Qual è, a tuo parere, l’elemento più curioso che emerge della realtà di FIFA una volta squarciato il velo?
PARRA: Prima di questa serie, consideravo il calcio soltanto come un divertimento: non avrei immaginato quanto dolore ci fosse dietro. La FIFA è prima di tutto un business. Questa è la grande rivelazione di El Presidente ed è ciò che mi affascina maggiormente.
Il ruolo di Pablo Escobar, per esempio, mi ha regalato nella vita la consapevolezza di non essere più così ingenuo politicamente nei confronti del mio Paese, la Colombia. Anche la parte di Chavez, ma su una scala mondiale.
TVSERIAL: “Tutto passa” è l’iscrizione incisa sull’anello di Julio Grondona, voce narrante nonché padrino del calcio sudamericano. Perché secondo te una vicenda come quello del FIFA Gate ha avuto così poca risonanza in Europa: è vero che tendiamo a ripetere la storia perché ce la dimentichiamo?
PARRA: Andando al di là della serie, se si volesse veramente che uno scandalo di corruzione di questa portata conducesse ad un reale cambiamento bisognerebbe reinventare il calcio e riconcepirne l’organizzazione a livello mondiale. Difficilmente chi è al potere, e chi trae beneficio da questo sistema, lo permetterebbe.
Proprio come riporta l’anello di Grondona, tutto è passato. Sono cambiate alcune regole sugli statuti, ma ci sono state delle mani molto potenti dietro il business e questo è un fatto economico e politico. Il calcio è un grande strumento di potere.
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