Girlboss 1 stagione, recensione della nuova serie tv Netflix
Sophia Marlowe (Britt Robertson) ha 23 anni e crede fermamente che l’età adulta sia il posto dove “i sogni vanno a morire”. Per questo motivo cerca un modo per “diventare grande” senza doversi necessariamente trasformare in un adulto noioso. Ma non è così semplice, soprattutto perché Sophia non ha nulla di buono da cui iniziare. Anzi, al contrario: ha un lavoro che non le piace, un padrone di casa che minaccia di sfrattarla, un padre con il quale parla troppo poco.
Eppure alle volte basta un po’ di fortuna, qui nella forma di una giacca vintage scovata durante uno dei suoi giri tra negozi dell’usato, pagata poco e rivenduta su eBay con un enorme guadagno, per cambiare il corso degli eventi. Sophia intuisce che quella potrebbe essere la strada per il successo e così inizia ad acquistare abiti usati per poi rivenderli sulla famosa piattaforma di vendite online, non senza prima averli sistemati dandogli un suo personale tocco originale. Ma quando viene “sbattuta” fuori da eBay per non aver rispettato le regole, Sophia decide di fare il grande passo verso il suo futuro: trasformare Nasty Gal, questo il suo nickname su eBay, in una vera e propria impresa di vendite online.
Girlboss, la serie tv prodotta da Charlize Theron e distribuita da Netflix dal 21 aprile, ci racconta la storia di come Sophia Amoruso – questo il vero nome della creatrice di Nasty Gal – sia diventata la millenial di successo che oggi conosciamo. Liberamente tratta da #Girlboss, il romanzo bestseller della stessa Amoruso pubblicato nel 2014, la serie tv Girlboss – senza hashtag! – mostra come Sophia abbia iniziato la sua scalata verso il successo, dall’intuizione geniale sino alla sua trasformazione in un business redditizio.
Specchio di un periodo storico di profonda trasformazione per la generazione dei cosiddetti millenials, la serie ci riporta indietro al tempo di Myspace, del successo di eBay e di OC. D’altro canto però, Girlboss non è un nostalgico ritorno al passato, ma mostra piuttosto come quei millenials abbiano dolorosamente capito di non essere la generazione lanciata verso il futuro, ma quella che deve invece fare i conti con un mondo del lavoro sempre più precario, che è costretta costantemente a re-inventarsi per non soccombere. Kay Cannon crea dunque una commedia dal sapore dolceamaro, capace di dosare momenti di assoluta ilarità ad altri più seri – per non dire proprio strappalacrime.
Il tutto coadiuvato da un cast all’altezza: dalla bravissima Britt Robertson nei panni di Sophia, a Ellie Reed, nel ruolo dell’amica Annie, fino a Melanie Lynskey, interprete di Gail, nemesi di Sophia. Menzione speciale per le tre guest della serie: Dean Norris, nel ruolo del padre di Sophia, Louise Fletcher che ci regala un piccolo cameo vestendo i panni di una simpatica anziana signora pronta però a “schiaffeggiare” Sophia nei suoi momenti di autocommiserazione, e il fantastico RuPaul chiamato ad interpretare Lionel, vicino di casa della ragazza, qui nell’insolita e divertente veste di guardia aeroportuale.
La storia di Sophia ci mostra come, sebbene il sogno americano si sia ormai frantumato da molto tempo, si può ancora essere padroni del proprio destino: come piace dire alla stessa Amoruso, citando una famosa citazione di George Bernard Shaw, «La vita non è trovare se stessi; la vita è creare se stessi ». Basta solo un pizzico di coraggio, aggiungiamo noi.
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