Hightown, intervista a Monica Raymund
“Si nasce incendiari, e si finisce pompieri” scriveva Dino Segre in arte Pitigrilli. Si potrebbe dire che la carriera televisiva di Monica Raymund negli ultimi anni ha compiuto il percorso opposto.
Amata per il ruolo della paramedica (e vigile del fuoco) Gabby Dawson in Chicago Fire, allo scadere del suo contratto con la corazzata di Dick Wolf, Monica Raymund ha sentito la necessità di misurarsi con nuove sfide interpretative.
Ha trovato pane per i suoi denti con Hightown, la produzione originale STARZPLAY creata da Rebecca Cutter, autrice che ha lavorato a Gotham e The Mentalist, e prodotta da Jerry Bruckheimer (il franchise di C.S.I.) al debutto domenica 17 maggio.
Il titolo della serie anticipa il tono di Hightown. Si tratta di un gioco di parole che prende il nome della città in cui è ambientata, Provincetown, sostituendo la parola ‘Province‘ con ‘High‘, aggettivo che in gergo anglosassone si adopera per indicare lo stato alterato dovuto all’assunzione di droga.
Nel corso degli episodi, la serie allarga il proprio sguardo esplorando il giro di vite che ruota attorno al traffico illecito di oppiacei, come la morfina, la codeina, il fentanyl, l’ossicodone e il tramadolo, nella zona di Cape Cod.
“La riabilitazione non è un percorso rettilineo”
Parlando con la stampa europea, tra cui Tvserial.it, in occasione del lancio di Hightown, Monica Raymund ha spiegato cosa l’ha spinta a scegliere questa serie per il suo ritorno in televisione:
La prima cosa che mi ha colpito di Hightown è stata il soggetto. La serie affronta un argomento complesso e cupo che è l’epidemia di oppiacei negli Stati Uniti. Volevo essere parte di qualcosa di rilevante ai tempi che stiamo vivendo.
Il personaggio di Jackie ha molte sfaccettature, è complesso: lei è una donna con molta sofferenza e che scappa dal proprio dolore. Sono attratta dall’interpretare personaggi in lotta coi loro demoni interiori perché credo che rappresentino autenticamente le persone della vita reale.
La protagonista della serie è Jackie Quiñones (Raymund), un agente del National Marine Fisheries Service, che rappresenta una delle agenzie federali statunitensi.
“Il distintivo da agente federale e la pistola la fanno sentire una tosta e le consentono di fare un po’ quello che vuole in giro per la città” ha raccontato Raymund, che ha continuato: “La storia di Jackie che mi sono immaginato è che per lei questo lavoro rappresentava una via di uscita”.
Amante degli eccessi e con un problema di dipendenza da alcol, droghe e sesso, Jackie vedrà presentarsi l’occasione di un riscatto personale quando rinverrà il cadavere di una ragazza sulla spiaggia. Questo rappresenta lo snodo evolutivo del personaggio, secondo la sua interprete Monica Raymund:
Quando trova quel cadavere in acqua, Jackie si trova davanti alla possibilità di dare un significato più grande al suo lavoro e a contribuire a risolvere questo caso. Per certi versi, in Jackie l’indagine sostituisce i bagordi come modo per tentare di riempire il vuoto che sente dentro di sé: questo è il suo primo passo sulla strada della redenzione.
La via del riscatto, così come il percorso riabilitativo, è ben lungi dall’essere una linea retta. Monica Raymund, che ha attinto alla propria esperienza di vita a contatto con persone affetti da dipendenze, ha parlato del percorso di Jackie anticipando le sfide che le si presenteranno:
Jackie si muove verso la redenzione, ma è soltanto agli inizi e si troverà di fronte a molte curve e imprevisti. La sua storia dipinge un affresco molto complesso del traffico illecito di oppiacei e della criminalità organizzata che ne è coinvolta.
Jackie vuole fare una cosa giusta, perché è convinta di essere un fallimento su tutti i fronti, ma portando a termine un’azione giusta lei spera di poter dare un significato alla sua vita.
Poter portare sullo schermo la storia di una donna americana di origine latina e queer (l’attrice ha fatto coming out nel 2014 dichiarando di essere bisessuale) è un’onore per Raymund, che celebra l’intersezionalità progressista del suo personaggio:
Si tratta di un momento storico per la mia generazione, per la mia comunità, perché cominciamo ad assistere ad una maggiore inclusività rappresentativa nei media mainstream.
Oggi siamo arrivati a un punto in cui in televisione ci sono donne che quando ero piccola non si vedevano. Al tempo non pensavo di poter diventare un’attrice perché non vedevo nessuno sullo schermo che mi assomigliasse.
Tuttavia la vera innovazione di Jackie è un’altra e non ha a che fare soltanto col suo essere lesbica o latina, secondo Raymund:
La storia di Jackie non è incentrata sulla sessualità o sull’etnia, bensì sulle disfunzioni intime e profonde di questo personaggio, sui suoi obiettivi, e sulla sua capacità di superarle per trovare redenzione.
Sono entusiasta che una donna che mi assomiglia e che prova le mie stesse emozioni possa raccontare una storia che non riguardi soltanto il colore della mia pelle, il mio sangue o le mie preferenze.
Trovo davvero poter raccontare una storia che vada oltre l’orientamento sessuale o l’etnia, che sono importanti sia chiaro, per raggiungere un piano di accettazione dove questo è dato per assodato.
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