Il Cacciatore 3: intervista a Francesco Montanari (Saverio Barone)
Parte mercoledì 20 settembre 2021 su Rai 2 in prima visione Il Cacciatore 3: in questa intervista a Francesco Montanari, ecco cosa ci ha svelato l’attore che interpreta Saverio Barone. Dopo il finale della seconda stagione che lascia tantissimi punti interrogativi senza risposta, il nuovo ciclo di episodi parte con il botto. La posta in gioco è altissima, ma – come sempre – Barone deve lavorare sottotraccia. Riuscirà a avere la meglio sui malavitosi?
Pronti per Il Cacciatore 3? L’intervista a Francesco Montanari ci fa scoprire qualcosa in più sullo sfaccettato personaggio di Saverio Barone, il protagonista di questa fiction coprodotta da Cross Productions, Beta Film e Rai Fiction.
Trovi il video con l’intervista completa a Francesco Montanari (Saverio Barone) all’inizio di questo articolo.
Il rapporto sottile di Saverio Barone con la paura
Nel primo episodio della terza stagione ci sono dei passaggi emblematici di quella che si rivela essere una svolta esistenziale per il protagonista. Saverio, infatti, a un certo punto dice: “Io non posso avere paura” nel primo episodio, ma – già nel secondo – ammettere di averne, alla luce di tutto quello che gli è già successo. Nonostante la sua caccia ai malavitosi, è umano che provi questo sentimento, ma non è scontato. Pensando a questa piega che prende Il Cacciatore 3, in questa intervista a Francesco Montanari, approfondiamo il rapporto di Saverio Barone con il sentimento paralizzante della paura.
L’attore scandaglia la questione, chiarendo alcuni punti fondamentali. È “la prima volta” in cui Barone “identifica” questa condizione di spavento con qualcosa. Sostanzialmente “trova questa sorta di mostro dentro di sé che lo paralizza”. Ciò non significa che fino a quel momento fosse immune dal terrore. Prima, però “non si poteva proprio il problema. Semplicemente andava, agiva.”
Cosa succede, poi? Qual è la miccia che lo fa fermare e riflettere sulla sua condizione? Le esperienze passate e traumatiche, il tempo trascorso nel bunker e il percorso quasi di cura psichiatrica che lo vedono protagonista, non possono non lasciare il segno.
Saverio Barone non conosce più le regole del gioco della mafia
Il vero dramma per Saverio Barone è trovarsi a giocare senza conoscere le regole del gioco stesso. Infatti, “vive in un momento storico in cui non riconosce più la mafia perché la mafia si evolve.” Se prima le sue manifestazioni “erano stragi, omicidi a cielo aperto”, ne Il Cacciatore 3, come emerge da questa intervista a Francesco Montanari, “non più.”
Ora “esistono i colletti bianchi, quindi un nemico intangibile. Lui non lo riconosce più”, spiega l’attore. Combattere contro un rivale che non vedi, ma che – soprattutto – non conosci, lo mette in una posizione di svantaggio. È la prima volta che vive questa condizione perché Barone “nel gioco precedente era un maestro. Qui, invece, non si sente neanche una matricola.”
Percepisce di non avere terreno sotto i piedi. Saverio “proprio non capisce” in che direzione andare per perseguire il suo obiettivo. La consapevolezza genera “tante crisi esistenziali”.
Quando ci si chiede se ne valga la pena, subentra la paura di perdere
Questo inedito Saverio Barone “si comincia a fare anche domande su quanto ha sacrificato della sua vita” affettiva, al di fuori della sua vocazione professionale. Così, Francesco Montanari rivela che il protagonista si rende conto di aver “sacrificato tutto.” Scopre di non ricordare nulla di sua figlia e, con suo immenso dispiacere, di non essere in grado di instaurare alcun tipo di interazione con la piccola. Per la prima volta si chiede “se ne valga la pena”. Il gioco vale la candela? Il punto non è la risposta bensì la domanda. Perché “quando tu ti chiedi se ne vale la pena cominci ad avere paura perché fondamentalmente hai paura di perdere.”
Lo sconforto non è sinonimo di resa
Ne Il Cacciatore 3 Saverio Barone inizia a concepire l’idea che non necessariamente i suoi sacrifici lo porteranno a essere una persona migliore. È una consapevolezza scioccante, spiazzante per un uomo che ha perseguito un obiettivo con tenacia per due stagioni, arrivando quasi ai limiti della mania. Quello che può insegnarci, però, è che “per quanto tu possa lottare per un obiettivo, devi fare i conti [con il fatto] che questo obiettivo possa essere irraggiungibile” spiega l’attore. È frustrante? Lo è se l’accento viene posto sulla possibile mancata realizzazione. Tuttavia, “non vuol dire non lottare”. Anzi, vuole dire mettercela tutta con maggiore consapevolezza, accettandosi come umani, fallibili e lasciandosi andare – se capita – a momenti di sconforto.
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