It’s a Sin, quarant’anni in un secondo
Nel giugno di quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario dai primi casi di AIDS riportati dal Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie americano. Da quattro decenni, il mondo occidentale deve fare i conti con quella che inizialmente fu considerata la malattia dei gay. ‘GRID‘, il nome con la quale fu inizialmente conosciuta negli Stati Uniti, stava per “gay-related immune deficiency”.
Eppure questa è una malattia che non guarda in faccia nessuno. Verso la fine del 2019, il numero di vittime di complicazioni dovute all’AIDS sin dall’inizio dell’epidemia si attesta attorno ai 33 milioni di persone in tutto il mondo.
“Quando la storia dell’AIDS e la reazione globale sarà scritta, il nostro più prezioso contributo potrebbe essere stato il fatto che, al tempo di quella peste, noi non fuggimmo, non ci nascondemmo e non ci separammo” disse nel 1998 Jonathan Mann, tra i direttori fondatori del Project SIDA e del programma sull’AIDS della World Health Organization.
Essere uniti. Essere visibili. Essere vivi. Questi sono i capisaldi di It’s a Sin, la miniserie scritta da Russell T Davies e diretta da Peter Hoar, disponibile su Starzplay dal 1° giugno in concomitanza del Pride Month. Il 58enne autore gallese ha contribuito a ridefinire la televisione degli ultimi tre decenni grazie a serie come Queer as Folk, il revival di Doctor Who e Years and Years.
Nell’arco di cinque meravigliosi quanto strazianti episodi, It’s a Sin racconta la storia di cinque amici ventenni nella Londra a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Ciascuno approdato nella Capitale per ragioni diverse, Ritchie (Olly Alexander), Roscoe (Omari Douglas), Colin (Callum Scott Howells), Jill (Lydia West) e Ash (Nathaniel Curtis) affittano un appartamento, il Pink Palace, e lo rendono il luogo dove condividere gioie, aspirazioni ed entusiasmi negli anni in cui la loro vita sembra appena cominciata.
Ben presto, tuttavia, i cinque si trovano a scontrarsi con un misterioso virus americano che la maggior parte del mondo ignora. Anno dopo anno, episodio dopo episodio, la serie attraversa il decennio dal 1981 al 1991. La vita che scorre – nuovi lavori, nuovi amori, nuove avventure – con l’interrogativo di un nuovo virus costantemente sullo sfondo. Parte come una voce, per diventare prima una minaccia, poi un timore, e infine un qualcosa che li lega insieme nella lotta.
La serie parla dei loro amici, degli amanti e delle famiglie, e parla in particolare di Jill, la ragazza che li ama, li aiuta e li galvanizza nelle battaglie a venire. Insieme sopporteranno l’orrore dell’epidemia, il dolore del rifiuto e i pregiudizi che gli uomini gay hanno affrontato durante il decennio.
Ci sono perdite terribili e amicizie meravigliose, e famiglie complesse, spinte al limite se non oltre. Questa è una serie che ricorda i ragazzi che abbiamo perso e celebra quelle vite che hanno vissuto con tanta intensità.
Omari Douglas: “It’s a Sin? La storia di una famiglia”
“Questa serie è stata il mio debutto televisivo, ma non potrei essere più grato a It’s a Sin” racconta Omari Douglas, raggiante interprete di Roscoe, nel corso della sua intervista a Tvserial.it.
Roscoe Babatunde è un giovane orgogliosamente queer che si rifiuta di reprimere la propria identità per compiacere la famiglia fortemente religiosa. Il padre contempla di rapirlo e portarlo in Nigeria, dove intende sottoporlo ad una terapia riparativa convinto che l’omosessualità abbia origine demoniaca e possa essere estirpata dal figlio.
Cogliendo al volo l’opportunità di lasciare quella casa prima che i suoi famigliari lo privino della sua libertà, Roscoe scappa verso la propria vita. “Per lui la cosa più importante è vivere la vita a modo proprio e diventare qualcuno” commenta Omari Douglas.
Secondo l’interprete di Roscoe, a distinguere It’s a Sin dalle serie e dai film che in precedenza hanno raccontato l’epidemia di AIDS è il carattere fortemente famigliare di questo racconto. “La malattia esiste, ma è parte del contesto storico di quegli anni” sostiene l’attore, che aggiunge: “Questa è, prima di tutto, la storia di una famiglia, sia essa quella biologica o la famiglia che una persona si sceglie tra i propri affetti”.
“Portare sullo schermo questa storia è una grande responsabilità” ammette il 27enne attore originario di Wolverhampton, aggiungendo di sentirsi onorato che la comunità LGBTQ+ abbia reagito con entusiasmo alla storia della serie. “La cosa che mi emoziona di più è constatare che le persone che hanno vissuto quell’epoca abbiano potuto rivedersi in quel mondo e in quei personaggi” spiega Douglas, che aggiunge: “Quale riconoscimento può esserci più bello di questo?”.
In apertura di post il video integrale con il racconto di Omari Douglas riguardo all’esperienza di It’s a Sin, disponibile dal 1° giugno con un episodio inedito alla settimana ogni venerdì su Starzplay fino al 27 giugno.
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