6.741, la quarta puntata del capitolo finale di Person of Interest vede l’attesissimo rientro in scena di Sameen Shaw (Sarah Shahi), sacrificatasi per la salvezza dei suoi compagni in If-Then-Else (POI 4 X 11) davanti agli occhi disperati di Root (Amy Acker), che da quel momento non ha mai smesso di cercarla nonostante lo scetticismo di Reese (Jim Caviezel) e Finch (Michael Emerson), che senza affermarlo, la credono morta.
Shaw è prigioniera di Greer, che invece di ucciderla, tenta di trasformarla in una sua risorsa, torturandola psicologicamente. Questi sono i mezzi di Samaritan: impiantando microchip nel cervello, cerca subdolamente di manipolare le coscienze, i pensieri, le azioni, priva le vittime del libero arbitrio, di quello spazio mentale che il controllo a livello fisico lascia necessariamente inviolato.
La fuga riporta Sameen a riunirsi con i suoi amici, anche se la diffidenza è difficile da superare: sono troppo evidenti in Shaw i segni dell’esperienza traumatica a cui è sopravvissuta, mentre lei accusa Finch e Reese di non averla cercata a sufficienza. Solo Root, con l’assolutezza di sentimenti che la contraddistingue, è completamente dalla sua parte. Al di là della tanto auspicata scena d’amore, è commovente la dolcezza con la quale Root si prende cura dell’amica, sciogliendosi in gesti d’affetto di infantile tenerezza: il personaggio degli eccessi, della fede incrollabile nella Macchina per la quale nutre un sentimento religioso, si abbandona all’innamoramento, con cieca fiducia nella sua possibilità salvifica.
Apparentemente gli obiettivi di Sameen non sono cambiati: con una determinazione al limite dell’allucinazione, si fa localizzare da Samaritan e assieme a Root e John cattura Greer. Preda di una stanchezza incontrollabile, di inspiegabili perdite di coscienza, che cerca invano di contrastare nell’urgenza di chiudere la partita con i suoi aguzzini, Shaw si confronta con Greer, illudendosi di averlo in pugno. Ma il male assoluto che egli impersona non è controllabile impugnando una pistola: la concezione nichilistica che lo guida, gli rende completamente indifferente persino la sua stessa morte. Il mondo di Samaritan continuerà anche senza di lui, quell’ “innegabile posto migliore” (POI 4×22) che ha contribuito a costruire è completamente indipendente dalla sua, come da qualsiasi persona.
Sameen non è altro che una pedina: permettendole la fuga, facendosi catturare, illudendola di aver consegnato a Finch l’interruttore per spegnere Samaritan, Greer l’ha invece resa il Cavallo di Troia che sterminerà i suoi amici prima, la Macchina poi. Shaw non comprende ancora la dimensione sovrumana del sentimento incontrollabile che Greer le ha instillato: lo capirà uccidendo John, come, ancora una volta in un paragone letterario piuttosto ardito, lo capì Otello uccidendo Desdemona. Come Jago, anche Greer è un manipolatore, l’incarnazione di una malvagità che si appaga di sé stessa, della sua abilità di inculcare negli altri un’ineluttabile volontà di autodistruzione.
La meraviglia dell’essere umano però risiede nelle inesauribili risorse dell’interiorità: esiste un luogo inviolabile in ognuno di noi di cui nulla ci può privare, nemmeno la tortura più atroce. In nome dell’amore per Root, Shaw sceglie di uccidersi, optando per l’unica via che potrà restituirle la libertà e la possibilità di mantenere intatto il sentimento che per mesi è stato il suo unico rifugio.
Siamo quindi alla fine della simulazione 6.741 a cui Samaritan sottopone Sameen per piegarla alla sua volontà e, come tutte le precedenti, ha dato il medesimo esito, vanificando ogni tentativo di scoprire dove sia la Macchina.
6.741, il numero che identifica l’antigene umano responsabile di gravi malattie autoimmuni o, se vogliamo guardare al cielo, una nebulosa planetaria della costellazione dell’Aquila piuttosto difficile da individuare, collega idealmente il ritorno di Shaw alla sua uscita di scena nella quarta stagione.
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