The Bikeriders, la recensione del film con Austin Butler e Tom Hardy
Se Born to Be Wild degli Steppenwolf è diventato l’inno della libertà dei bikers dalla fine degli anni Sessante, nel film The Bikeriders la sensazione di sentirsi liberi è stravolta radicalmente. Jeff Nichols scrive e dirige il nuovo progetto distribuito da Focus Features e Universal Pictures a partire dal prossimo 19 giugno 2024. La storia si ispira al libro di Danny Lyon, fotoreporter che ha seguito una banda di motociclisti, documentando il loro vissuto per una decina di anni tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta.
Nichols ha scoperto il libro di Lyon circa vent’anni fa e da allora ne è rimasto ossessionato. Il regista punta ad ampliare il pubblico per una storia che può sembrare rivolta ad una nicchia specifica, ovvero quella dei bikers. Ci troviamo alla fine degli anni ’60, lo sguardo si focalizza sulla nascita di un gruppo di motociclisti, i Vandals, e il reporter Danny Lyon (interpretato da Mike Faist, Challengers) sta documentando il loro vissuto. Tra bevute e scazzottate nei bar, picnic con corse in moto nel fango e racconti davanti a un falò di storie di questa subcultura che ha segnato la storia americana.
Il primo punto che differenzia The Bikeriders da altri film di genere è il racconto narrato dal punto di vista femminile quello di Kathy, una straordinaria Jodie Comer (Killing Eve). Accidentalmente, la donna finisce in un bar e in pochi attimi si ritrova su una motocicletta in sella dietro all’enigmatico, affascinante Benny (Austin Butler). Da lì a cinque mesi, Kathy sposa Benny e diventa parte dei Vandals di Chicago.
Jeff Nichols ha realizzato un film di fantasia che ruota attorno ai monologhi registrati di Lyon. Quello che ne esce da questi audio è soprattutto il carattere della persona che sta parlando. The Bikeriders mette ben in evidenzia questo aspetto. In dieci anni di storia, vediamo il gruppo dei Vandals evolvere, allargarsi e subire l’evoluzione della cultura degli Hell’s Angels in America mentre viene investita da tutti i movimenti culturali e politici del tempo.
Il leader del gruppo è Johnny, un Tom Hardy stanco, provato da questo ruolo di capo, da questa vita, e cerca a tutti i costi un suo erede. Lui vede in Benny questa possibile figura, ma il ragazzo non è tanto facile da capire e gestire. Johnny raffigura Johnny Strabler de Il Selvaggio di Marlon Brando, film che viene anche menzionato in una scena del passato dove Johnny sembra avere un’illuminazione proprio guardando per la prima volta il film. Da quella visione, ha fatto dell’iconica frase “What do you got?” il suo mantra. Anche se nel corso dei suoi anni da leader la frase che più spesso deve ripetere per tenere in vita questa democrazie violenta è “pugni o coltelli?”.
Dall’altro lato, Benny è Jim Stark di James Dean, una figura “bella e dannata” di poche parole, che agisce di istinti. In cerca di adrenalina sempre e che prende sette semafori rossi di fila sfrecciando con la sua motocicletta. L’unico suo interesse è cavalcare il suo mezzo e sentirsi parte del gruppo che lo identifica come parte di qualcosa. Benny vede in Johnny una figura paterna.
A completare il gruppo e il ricco cast troviamo Zipco (Michael Shannon), Funny Sonny (Norman Reedus), Cal (Boyd Holbrook), Brucie (Damon Herriman), Wahoo (Beau Knapp), Cockroach (Emory Cohen), Corky (Karl Glusman), e The Kid (Toby Wallace).
Una subcultura stravolta dagli eventi
La struttura narrativa di The Bikeriders con i racconti di Kathy rende il film più statico, ma al tempo stesso più profondo. A differenza dei film sulla strada, sempre in movimento alla Easy Rider, qui siamo fermi, sulla banchina. Ci troviamo nei locali e nei boschi e sentiamo i racconti di queste persone reiette che la società ha respinto. Come la figura di Zipco che racconta di come lui sia stato scartato al college rispetto al fratello per la sua condizione sociale. Oppure, nel corso degli anni assistiamo all’allargamento del club a più distaccamenti. I veterani iniziano ad essere stanchi di scappare e c’è chi sogna, come Cockroach, di essere pagato per cavalcare moto tutto il giorno una moto, come poliziotto.
La gestione del club cambia negli anni e si fa sempre più difficile per Johnny gestire il tutto. La sua leadership è sempre più minacciata. Passiamo dai fine anni ’60 ai primi anni ’70 e le conseguenze del Vietnam arrivano. Vediamo i veterani di guerra, altri reietti della società dopo il loro ritorno. L’utilizzo di droghe cambia: si passa dalla maijuana all’eroina. In sottofondo, The Bikeriders ci mostra una buona parte della storia americana. I lati più oscuri degli anni della libertà, spesso raccontati con superficialità e poca veridicità e crudità.
Arrivano nuove leve di bikers e cambiano anche le tipologie di motociclisti: da gente che passava il tempo nei bar a bere, a giocare a biliardo, a fare corse con la moto. Ora ci sono gang vere e proprie che spacciano droga, ne fanno uso e uccidono.
Un triangolo amoroso diverso
Kathy è parte di un triangolo sentimentale e si trova a fare i conti con Johnny per definire il loro rapporto con Benny. Jodie Comer ci regala un’ interpretazione incredibile con la sua espressività e la sua potenza vocale. La modalità in cui lei racconta, i costumi, la pettinatura e i colori ricordano molto Natalie Portman nel film di Pablo Larraín, Jackie.
The Bikeriders ha molto dei film di genere “sulla strada”. Dopo tanti anni si torna a raccontare una storia di questo tipo, ma da un punto di vista differente con una metodologia diversa, più ferma. Con un focus sull’identità di appartenenza. Perché è di questo che si parla: appartenere a un gruppo per sentirsi definiti e parte di qualcosa. Più è specifico il gruppo, più chiara è l’identità che assumono le persone. In alcuni momenti può essere una dinamica meravigliosa per le proprie vite. In altri rischia di essere terribilmente distruttivo.
Dopo anni di disillusione, questi individui sono fuggiti dall’idea della wellness statunitense. Gli ideali imposti del self made man hanno portato alla generazione della subcultura dei bikers. Lo sguardo di Kathy in The Bikeriders aiuterà il pubblico a comprendere quegli anni non più solo attraverso una cultura americana maschile.
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